venerdì 21 dicembre 2012

GNOCCO nel PAVESE

Le "SCHICCIE"
di VARZI
un tipo di gnocco fritto tondo e sottile da abbinare al salame locale

di Luca Bonacini



Scovata un’altra versione del Gnocco anche nel Pavese. Attraverso il passaparola si allarga sempre più l’elenco dei luoghi dove si frigge il Gnocco (o qualcosa di molto simile ad esso). La segnalazione che ci porta a Varzi, in provincia di Pavia, arriva questa volta da Marino Marini storico della cucina, giornalista, scrittore e bibliotecario della scuola di cucina internazionale Alma a Colorno(Pr). Uomo dall’estesa cultura eno gastronomica dedito alla tutela della tradizione culinaria più antica, mi ha segnalato questa notizia in una recente mia visita ad Alma dove provato dalla partecipazione alla giuria di un corso di pasticceria sono entrato barcollando nella sua biblioteca. Oltre 10.000 volumi di enogastronomia tenuti con amorevole cura di padre.


Il poderoso archivio ha sfornato l’ennesima chicca, ed ecco comparire un articolo uscito su una rivista di cucina, che parla di questa specialità Pavese chiamata “Schiccie” una pastella molto diluita in acqua, con farina e sale, fritta in padella in olio ben caldo, a cui si consiglia l’abbinamento con il prelibato Salame di Varzi, conosciuto e apprezzato anche dai Malaspina. Oltre al brasato, alle lumache, al merluzzo con cipolle, ai ravioli, alla trippa, alla zuppa di ceci, alla torta di riso, alla torta di mandorle, ecco un’altra delizia della cucina di questo  piccolo borgo medievale, ricco di storia, cultura e tradizioni che sorge nel cuore dell'Oltrepò Pavese circondato da colline ricoperte da rigogliosa vegetazione, dalle cime dei monti e dalle acque del torrente Stàffora.



Il salame di Varzi e la sua storia 

L'analisi storica di un prodotto così importante ed antico è sempre difficile da tracciare: diventa, quindi, arduo stabilirne l'esatto anno di nascita. Secondo alcune notizie pervenuteci durante i secoli, pare che già i Longobardi avessero propagandato l'allevamento del maiale e che lo sacrificassero alla ninfa Maia per meglio sfruttare pascoli e boschi. Gli animali erano di dimensioni più piccole rispetto a quelle attuali, venivano allevati allo stato brado ed erano utilizzati prevalentemente per l'alimentazione, assai meno per il lavoro. Sembra addirittura che in un editto del re Ròtari fossero stabilite pene asprissime per coloro i quali avessero maltrattato un porcaro. Ma, aldilà di questi simpatici aneddoti, si ipotizza che il salame servisse da alimento a questo popolo barbaro proprio per le caratteristiche di durabilità che offriva un insaccato di questo tipo nonché per le sue indiscutibili caratteristiche nutrienti. Infatti, questa tribù nomade, durante le varie transmigrazioni in tutta Europa causate dalla secolare mancanza di terre, da una forte crescita demografica e da un contemporaneo irrigidimento del clima, in un'epoca di dure ristrettezze economiche sentiva la necessità di disporre di un prodotto a lunga conservazione. Nel XIII secolo i Marchesi Malaspina, indiscussi signori di questo territorio, lo presentavano agli ospiti della propria tavola come pietanza eccezionalmente prelibata. E così diviene certo che, nei secoli a venire, il salame si inserì perfettamente nella parca mensa degli umili contadini che, di fronte alla semplice economia famigliare, videro nel maiale una risorsa indispensabile alla loro sopravvivenza. La stessa fecondità della scrofa (che può partorire fino a dodici esemplari e, nel periodo di maggior fecondità, anche due volte nello stesso anno) contribuì certamente a farlo diventare prezioso, così come la capacità di aumentare il proprio peso da uno ad oltre centocinquanta chilogrammi nel breve periodo di un anno, fornendo in tal modo una quantità di materia prima alimentare considerevole. Senza scordare, poi, gli svariati utilizzi delle parti avanzate dalla macellazione: il grasso come lubrificante o medicinale, le setole per fabbricare spazzole e pennelli ed alcuni tipi d'ossa come utensili da lavoro, ed altro ancora.

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